La mia passione per il calcio è nata quando avevo sei o sette anni. ...
La mia passione per il calcio è nata quando avevo sei o sette anni. Come tutti i bambini, giocavo per strada e sognavo di vestire la maglia delle Seleçao. Ricordo che assieme ai miei amici di Ipatinga frequentavo un campetto da 7 contro 7 in mezzo al quale sorgeva un grosso albero. Dovevamo dribblare lui oltre che l'avversario. Questa cosa mi è rimasta impressa e pensandoci mi emoziono ancora.
Crescendo cominciai a realizzare che il calcio sarebbe diventato qualcosa di davvero importante nella mia vita. Ne ebbi piena consapevolezza quando firmai per l'Atletico Mineiro, famiglia che mi accolse consentendomi di fare tutta la trafila del settore giovanile. A 14 anni ero il leader dell'under-15. E sì, lì pensai «posso diventare un calciatore di successo».
Nel calcio però si sa: nessuno ti regala niente. Sudore e fatica, sacrifici e rinunce: tutto ciò mi ha forgiato e fatto diventare più forte, pronto per trasferirmi in Italia, alla Roma, per il salto nel grande calcio europeo. Fu complicato, non lo nego. Inizialmente mi trovai a fare i conti con un clima diverso, con un calcio diverso e con una lingua che capivo ben poco. Un grosso aiuto me lo diedero i mesi trascorsi a Venezia, dove giocai poco ma imparai tanto.
Mi adattai ed ebbi la fortuna, al rientro dal prestito, di essere confermato da Fabio Capello. Lui fu il primo allenatore italiano a credere in me. Neanche a dirlo, i suoi insegnamenti li porto ancora dentro. Mi fece crescere enormemente sotto l'aspetto tattico, opera che completò poi Luciano Spalletti, a cui devo il massimo livello mai raggiunto in carriera. Intensità, fase offensiva, fase difensiva, comportamenti da adottare in campo: un vero maestro. E che dire di José Mourinho? "Semplicemente" è uno che riesce a farti rimanere concentrato su tutto ciò che ti chiede di fare, andresti in guerra per lui.
In Italia, e in particolare a Roma, sono cresciuto tantissimo. Fino ad arrivare a raggiungere il sogno che avevo piccolo: la Seleçao. Ho tanti bei ricordi della mia esperienza da calciatore, anche se non all'epoca cercavo di non lasciarmi travolgere dalle emozioni: mi imponevo pazienza e tranquillità nei momenti bui, mentre in quelli felici cercavo di tenere alta la mia soglia di applicazione. È così che si trova l'equilibrio in un ambiente frenetico come il nostro.
Già, l'equilibrio. Una volta che l'ho raggiunto, la mia visione è cambiata e ho avuto molti meno problemi a fare delle scelte. Per esempio quella del ritiro, presa con grande serenità e consapevolezza di poter continuare a frequentare questo mondo ricoprendo altri ruoli.
Dopo il ritiro, a parte alcuni momenti, essere un calciatore non mi è mai mancato. Anche perché già da diverso tempo mi stavo preparando per ciò che sarebbe avvenuto in futuro. Avevo solo voglia di sposare un nuovo progetto. Avevo voglia di mettere la mia esperienza al servizio di club e giovani calciatori.
Allenatore per un periodo, adesso direttore sportivo. La mia nuova avventura si chiama Aymores, club della Serie B Minas Gerais, campionato regionale. Qui mi è stato proposto un progetto interessante e vedo ottime prospettive di crescita. Presto ve ne parlerò ancora. Intanto sono già al lavoro, determinato a scoprire qualche nuovo talento per il calcio brasiliano e mondiale. Ci credo con la stessa fermezza di quando ero bambino e dribblavo quell'albero.
Amantino Mancini