Il doppio ex Mancini presenta Milan-Roma a CM: 'Rossoneri da scudetto, Mourinho? Non basta lui per vincere'

Quando Amantino Mancini parla di quel colpo di tacco al derby, ancora si emoziona: ...


Quando Amantino Mancini parla di quel colpo di tacco al derby, ancora si emoziona: "E' stato meraviglioso. Il primo gol in Serie A, in una partita così importante e in quel modo. Fantastico. Quella rete mi ha cambiato la vita - racconta nella nostra intervista - i tifosi mi fermavano per strada". Vecchi ricordi giallorossi per chi da quel giorno è entrato nel cuore di tutti i tifosi della Roma. Nella capitale dal 2003 al 2008, il brasiliano ripercorre la sua carriera ai nostri microfoni.

Come nasce il soprannome 'Mancini'?
"Quando ero piccolo ero molto calmo, mia nonna mi chiamava 'mansinho'. Per tutti, io e mio fratello gemello eravamo mansinho io e 'gordo' lui, perché era un po' più cicciottello. Quando sono entrato nella Primavera dell'Atletico Mineiro però mi dissero che il mio soprannome non era adatto per un calciatore, così diventai Mancini".

Nel 2003 sbarca in Italia, al Venezia.
"Ho due ricordi in particolare. Prima di tutto la temperatura: venivo dai 40° del Brasile e mi sono ritrovato ai -2 di Venezia. Poi ricordo la prima volta a cena fuori: l'Italia era famosa per la pasta e la pista, ma mi continuavano a portare solo carne e pesce crudo al quale non ero abituato. Volevo tornare in Brasile".

Anche in campo le cose non andavano benissimo.
"L'allenatore mi diceva che ero scarso e non mi faceva giocare. Durante una partitella ho stoppato un pallone lungo con l'esterno, era l'unico modo. Il mister mi disse che non potevo farlo, ma non capivo il perché. L'esperienza a Venezia però mi ha aiutato ad ambientarmi in Italia, imparare la lingua e imparare un nuovo tipo di calcio fatto di dinamicità, forza e intensità".

Poi l'arrivo a Roma che cambiò la sua carriera.
"Appena arrivato a Trigoria, vado nell'ufficio di Capello che mi chiese subito perché a Venezia non giocavo. Mi portò in ritiro, mi fece fare la prima amichevole e da quel giorno non mi tolse più".

Quel gol di tacco contro la Lazio è stato istinto o l'aveva studiato?
"Nulla di preparato, l'ho improvvisato. Era l'unico movimento che potevo fare per prendere il pallone. Se rivedere l'azione, anche Emerson dietro di me si stava preparando per prenderla di tacco, solo che io l'ho presa al volo, e lui l'avrebbe fatto col pallone a terra".

L'altro gran gol in giallorosso è quello al Lione con un tiro potente all'incrocio dei pali dopo un numero infinito di doppi passi a Reveillere.
"Quello era un numero che provavo sempre, con la Roma di Spalletti ci veniva tutto facile. Giocavamo a memoria".

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